Valserena


MONASTERO SAN MARTINO DE BOCCI
Sulla strada verso il Po, in direzione Colorno, a pochi chilometri dalla città, si erge l’antico monastero di San Martino de’ Bocci, detto certosa di Paradigna, che da lunghissimo tempo ha perduto la sua funzione religiosa. Così come strategica era la via Romea verso la Toscana e oltre, altrettanto lo era la via verso il grande fiume del Nord, ove i monaci costruirono il loro monastero, Santa Maria in Valle Serena in una località oggi denominata Paradigna.
Innanzitutto il nome: l’appellativo di certosa è improprio in quanto il sito fu sede, sì, di un ordine monastico, ma non dei certosini della Chartreuse, presso Grenoble, in Francia come il nome presupporrebbe, bensì dei cistercensi di Cîteaux, presso Digione, e precisamente di quelli in stretta dipendenza dall’abbazia di Chiaravalle della Colomba, presso Piacenza, fondata da san Bernardo.
L’attività di intervento sulla natura da parte dei monaci, in particolare riguardo alla bonifica dei terreni e alla creazione di zone a coltura, si riflette sul nome Valserena, luogo evidentemente reso tale dopo essere stato epurato dai “bocci”, cioè da sterpaglie e pruni. In più, i monaci controllavano dei pozzi salini a Salsomaggiore e alcuni mulini. È noto, infatti, l’importante ruolo economico rivestito dai cistercensi che, grazie all’aiuto di figure laiche, come i conversi, – laici con istruzione religiosa limitata, che vivevano con i monaci pur secondo una regola più morbida e senza diritto di elezione dall’abate – bonificarono e conquistarono alla coltura zone vastissime. Le famose grange cistercensi furono un notevole modello di conduzione agricola per il medioevo.
La nostra badia venne fondata da Gerardo Bianchi, nato a Gainago intorno al 1230 da Alberto Bianchi e da Agnese; il personaggio fu ricordato sia da Jacopo da Varazze – come natione parmensis e come arcivescovo di Genova dal 1275 per una decina d’anni – che da Salimbene de Adam in quanto imparentato con uno dei sette notai della curia cittadina, Alberto. Già auditor litterarum apostolicarum contradictoriarum della Curia romana a partire dal 1277, questo illustre Parmense raggiunse l’apice della sua carriera proprio a Roma, dove fu eletto cardinale prete della basilica dei Dodici Apostoli da Nicolò III nel 1278, nonché vescovo della Sabina sotto Martino IV, nel 1281 e infine, nel 1299, arciprete della basilica di San Giovanni in Laterano, dove alla sua morte, avvenuta nel marzo del 1302, venne sepolto ante altare Marie Magdalene.
Proprio il grande Bonifacio VIII, nell’aprile del 1298, diede facoltà a Gerardo di costruire l’abbazia tramite una bolla in cui concedeva tra l’altro dignità di pieve alla piccola chiesa di Gainago, luogo natìo di Gerardo, e di acquisire il controllo sull’oratorio di San Leonardo. La costruzione fu dunque intrapresa da maestranze di Chiaravalle nel maggio del 1298, come recitava la scritta all’ingresso “anno MCCLXXXXVIII die XV maii hoc monasterium inceptum fuit”. Il comune di Parma permise che il canale comunale fornisse acqua al mulino del convento e furono quindi create in zona significative opere di canalizzazione. Bonifacio VIII, dopo la morte di Gerardo, istituì la dipendenza di Valserena dalla Chiaravalle piacentina, il cui abate avrebbe sempre dovuto presenziare ai capitoli concernenti le questioni maggiori di Valserena. I monaci nei primi tempi si servirono della chiesa di San Martino, ma, dopo la morte del fondatore, fu stabilito di costruire l’attuale chiesa, agli inizi del XIV secolo. Ancor oggi sono visibili resti delle arcate del chiostro e dell’antico convento. A lungo usata come luogo di ricovero di arnesi e attrezzi e come magazzino in margine ad attività agricole, è stata fortunatamente oggetto di un recente restauro teso a restituirle l’antica forma e dignità.
Le omogenee caratteristiche dell’architettura cistercense sono rispettate anche a Valserena, come l’abside di forma quadrata o il tiburio poligonale posto all’incrocio tra navata e transetto. La chiesa è a croce latina in stile gotico lombardo, di cui è stata sottolineata la conformità rispetto a modelli borgognoni-provenzali, come altri edifici ecclesiastici di area emiliano-lombarda. Internamente la struttura tipica a tre navate coperte da volta a crociera corre per una lunghezza di 60 metri e ha una larghezza di 33 metri. Le antiche finestre gotiche furono accecate nella seconda metà del XVI secolo, periodo al quale risalgono i famosi affreschi del Baglione nel presbiterio. Anche tra Sei e Settecento l’edificio subì rimaneggiamenti, il più eclatante dei quali fu il rifacimento della facciata, ispirato allo stile dei Bibiena.
Indipendentemente dal fatto che questa possa essere la “Certosa di Parma” di stendhaliana memoria – fatto non assolutamente comprovato – in luogo della sua precedente sorella Parmense, fuori l’antica porta San Michele verso Vicopò (fondata alla fine del XIII secolo da Rolando Taverna, altro illustre parmigiano e arcivescovo di Spoleto), l’abbazia di San Martino dei Bocci ha certamente tutte le carte in regola per avere suscitato un tale romantico sospetto… (E.B.)

I testi sono tratti da: Per antichi cammini. Il Medioevo a Parma e provincia. Milano, Silvana Editoriale, 2003.