Il tratto parmense della Via Francigena
Il tratto parmense della via Francigena (o Romea) rappresentava, in epoca medievale, uno dei maggiori punti strategici di tutto l’asse viario della penisola, in quanto era uno dei valichi fondamentali a cavaliere tra gli Appennini emiliano e toscano.
Per questo, occupandoci di pievi e ospedali del Parmense, leggeremo che non solo i pellegrini furono utenti di questa strada, ma anche diversi sovrani con i loro eserciti, dall’età longobarda in poi (Carlo Magno, Ottone I, Filippo Augusto, Enrico IV, Carlo IV, Ludovico il Bavaro e molti altri) senza contare che la zona era certamente antropizzata anche in epoca romana, come si evince dalle testimonianze archeologiche.
È noto che la Romea sia stata un’“area di strada”, ovvero un fascio di possibili vie che intersecandosi a tratti, o scorrendo parallele, conducevano ai luoghi sacri della cristianità medievale, ovvero eminentemente San Pietro a Roma, Santiago di Compostela in Galizia (Spagna), Gerusalemme con il Santo Sepolcro.
Il concetto di area di strada si traduce, nei nostri territori, nelle possibili “varianti” offerte ai viandanti e cioè oltre al percorso Fidenza (o meglio Borgo San Donnino, come era chiamata nel medioevo) -Fornovo-Sivizzano-Bardone-Terenzo-Cassio esisteva la via alternativa che dalla Romea-Emilia giungeva a Fornovo attraverso Vicofertile e Collecchio o, ancora, la deviazione promossa dai cistercensi verso il monte Prinzera, passando per Talignano, caratterizzata da loro fondazioni di ricovero. Non solo: anche la chiesa di Santa Croce a Parma fu, almeno dal XIII secolo, una importante tappa sulla Francigena, a dimostrazione della capacità della città di attrarre i percorsi dei pellegrini romei.
Le pievi e gli ospedali sono perlopiù di fondazione longobarda, giacché la via Romea, nel tratto parmense, si trovava proprio nella parte della regione dominata dai longobardi, che promossero la via di Monte Bardone (volgarizzazione di via Langobardorum) per meglio controllare questa parte dell’Emilia in opposizione alle vie verso sud della Liguria, a occidente, e della Romagna, a oriente, in mano ai bizantini.
Proprio chiese plebane e xenodochi sono le emergenze architettoniche più rilevanti della zona, le une con l’importantissima funzione di amministrare il sacramento del battesimo, gli altri che accoglievano i pellegrini stanchi nei loro porticati ed edifici di alloggio con le stalle per gli animali.
Noteremo una grande coerenza “tematica” nelle decorazioni di questi edifici religiosi, dovuta alla notevole circolazione di uomini e idee che la Romea favorì; valgano per tutti due esempi: la psicostasi della lunetta della pieve di Talignano, rappresentata molto più nel Nord Europa che non nell’Europa mediterranea, ma giunta in questa zona proprio grazie ai cistercensi – provenienti da Cîteaux, in Borgogna – che a Talignano detenevano un ospedale annesso alla pieve, nonché la rappresentazione del Volto Santo lucchese che circolò attraverso immagini itineranti, come alcune croci astili quali quella di Fornovo. Frequenti sono in queste zone anche le intitolazioni a chiese e ospizi dedicate a santi “romei”: santa Margherita, san Nicolò/Nicola, san Giacomo, san Michele, san Genesio, san Martino e sant’Ilario, di cui, almeno gli ultimi due, di area franca, dove la Francigena aveva origine.
Il pellegrinaggio aveva scopo di penitenza ma anche di promozione della dottrina ortodossa della Chiesa, in opposizione alle eresie che minacciarono a più riprese la Chiesa medievale. Ecco che, allora, i pellegrini – rappresentati in processione all’esterno del duomo di Fidenza, e singolarmente a Fornovo e Bardone con gli attributi tipici (bordone, chiavi, secchio e borsa a tracolla) si muovevano per le vie di Europa per meritare la vita eterna alla fine dei loro giorni, espiando attraverso il pellegrinaggio sacro i loro peccati, come l’avarizia raffigurata dall’avaro di Fornovo “schiacciato” dal suo vizio o la lussuria, forse l’asino (già simbolo sessuale in età romana) che suona l’arpicordo a Berceto, esplicito richiamo all’idea di seduzione.
Infatti la tentazione è sempre in agguato per l’uomo (i serpenti dei leoni stilofori di Bardone e quelli sugli stipiti del duomo di Berceto) e i diavoli (visibili sui muri delle pievi di Bardone, Fornovo, Talignano) sono sempre pronti ad accaparrarsi le anime dei defunti.
I tre personaggi più illustri, a cui si fa sempre riferimento a proposito della Francigena, citarono, nei loro diari di viaggio, le nostre mansiones parmensi: sia il vescovo di Canterbury Sigerico che si recò a Roma nel 990 circa a ricevere il pallio, che il monaco irlandese Nikulas di Munkathvera, pellegrino nel 1154 circa, che il re Filippo Augusto di Francia, di ritorno dalla terza crociata (1191).
Insomma, all’occhio attento non potrà sfuggire la grande attenzione di maestri e artisti che lavorarono sul nostro tratto della via Romea per ammonire gli uomini che la strada verso i loca sancta era in realtà la strada verso Dio, anche a costo di dure battaglie con sé stessi: la fatica fisica del cammino e le sue insidie di ogni tipo erano specchio della lotta con il male che l’uomo deve fronteggiare, rappresentata simbolicamente nella caccia di Fornovo e Bardone.