Gli affreschi rinascimentali


Nel corso del XVI secolo la Cattedrale si rinnova in base a nuove esigenze religiose, spirituali e devozionali. La chiesa romanica, centro della vita religiosa e civile della città, con la sua severità di impianto non risponde più al mutato clima culturale. Il rinnovamento è ottenuto attraverso la realizzazione di importanti cicli affrescati che, seppur compiuti in momenti differenti e in assenza di una progettazione iconografica unitaria, accompagnano il fedele in un progressivo cammino di scoperta del sacro.

Il percorso verso la rivelazione del catino absidale e della cupola è ritmato dall’opera di Lattanzio Gambara, artista bresciano attivo in Cattedrale dal 1567 al 1573, che negli affreschi della navata rivela la sua formazione legata ai Campi ma aperta anche all’influsso di Giulio Romano.

Unico ciclo religioso firmato dall’artista, ripropone in ogni singola campata lo stesso schema: nel registro superiore figure monocrome allegoriche nella lunetta e episodi della vita di Cristo nel riquadro centrale posto sopra il matroneo; in quello inferiore episodi monocromi del Vecchio Testamento, secondo le concordanze stabilite da Sant’Agostino, affiancati da meravigliose figure di profeti dalle pose sempre diverse e talvolta spericolate. Alle loro spalle si affacciano intensi ritratti maschili in abiti cinquecenteschi da identificare, secondo gli studiosi, con i notabili della città, committenti del Gambara.

Giunti alla fine della navata si ammira in controfacciata la conclusione del ciclo con la Ascensione di Cristo a cui, dal catino absidale, risponde in una sorta di ideale prosecuzione del programma di matrice cristologica, il Cristo in gloria con la Madonna, Santi e angeli affrescato da Gerolamo Mazzola Bedoli dal 1538 al 1544. Il pittore, principale prosecutore della maniera di Parmigianino, in questa importante committenza rinnova il suo repertorio figurativo alla luce del linguaggio di Correggio e di Giulio Romano. Al centro della raffigurazione emerge con potenza la figura di Cristo in gloria, riferimento al mistero eucaristico. Segnato nel corpo dalle ferite dei chiodi e circondato dai simboli della passione, egli mostra ai fedeli il paradosso del trionfo scaturito dalla sofferenza, dominando con l’imponenza del suo gesto l’intera chiesa.

È ancora Cristo la figura centrale della cupola affrescata da Correggio dal 1526 al 1530, anche se la vera protagonista della composizione è la Vergine a cui la Cattedrale è dedicata.

Assoluto capolavoro del Rinascimento italiano, la cupola “più bella di tutte” si disvela progressivamente agli occhi del fedele, invitato a compiere un cammino di scoperta e di indagine, partendo dall’ingresso della chiesa. Dal fondo sono infatti visibili i patroni della città affrescati nei pennacchi e mediatori nell’incontro con la divinità. Nel tamburo della cupola è rivelata una prima parte del soggetto iconografico, il funerale della Vergine, tramite le figure degli apostoli convenuti intorno al suo feretro. Giunti ai piedi della scalinata si assiste all’episodio centrale della raffigurazione: l’Assunzione di Maria in cielo, trasportata da un turbine di angeli festanti verso il cerchio dei beati. Arrivati sul transetto si scopre un nuovo punto di vista, all’epoca riservato ai soli canonici della Cattedrale. A spiegazione della violenta torsione del corpo di Maria, vediamo Cristo che, al centro della cupola, scende per incontrare la madre in una posa innovativa e considerata scandalosa dai contemporanei.

Le novità iconografiche della cupola sono accompagnate da una geniale rivisitazione pittorica dei linguaggi dei più importanti maestri rinascimentali. Da Mantegna a Leonardo, da Michelangelo a Raffaello a Tiziano lo stile del Correggio si sostanzia e supera i modelli di riferimento arrivando ad anticipare, nel cielo vorticoso, negli scorci arditi e nel gioco illusionistico gli esiti della pittura barocca.